COMUNICAZIONE UMANA:
MODELLI e PROBLEMI
Sintetica rassegna di teorie e modelli sulla comunicazione interpersonale
(Draft - A cura di Roberto Maffei / febbraio 2010)
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INTRODUZIONE
La presente rassegna è il risultato del lavoro di preparazione dell’articolo “Pragmatic neurons”, elaborato nell’ambito del gruppo di ricerca A.L.B.E.R.T. (ARPA-Firenze Landmarks on human Behaviour Experimental Research Team) attivo nell’Associazione culturale ARPA-Firenze (www.arpafirenze.it). L’articolo, scritto da Roberto Maffei, Leonardo Cavari, Alessandra Gasperini e Ida Selvaggi (tutti membri del gruppo di ricerca A.L.B.E.R.T.) è in corso di completamento.
L’elaborazione di questa rassegna è motivata dalla natura dell’articolo: si tratta della proposta, basata su precedenti ricerche e sull’analisi di risultati sperimentali recenti (anche di natura biologica, neuroscienze in particolare, oltre che sociologica), di un nuovo modello operativo (si veda l’inizio del Capitolo 2) della comunicazione umana. Naturalmente era necessario tener conto, nella stesura, anche di una ricognizione almeno sommaria dei modelli esistenti (ce ne sono molti, di varie scuole e con impostazioni molto diverse); sviluppata questa parte, ci siamo resi conto che, per quanto sommaria, era comunque molto lunga, per cui abbiamo deciso di scorporarla dall’articolo e di metterla a disposizione online, per chi volesse approfondire questo aspetto o risalire ad alcune delle origini della nostra riflessione.
1 * LA NATURA DEL PROBLEMA
Le riflessioni sulla comunicazione umana si possono far risalire, presumibilmente, fino al passato più remoto; anche limitandosi agli studi chiaramente documentabili, si trova che questi sono databili ad oltre 2.000 anni fa, con la formalizzazione della retorica classica. In questo lavoro si eviterà di risalire così indietro e si concentrerà l’attenzione sul periodo successivo allo spartiacque della Seconda guerra mondiale, cioè sugli ultimi 60 anni circa di studi, privilegiando i lavori realizzati in campo psico-sociale, in quanto sono quelli che si prestano meglio all’impiego per la messa a punto di un modello operativo.
Questa rassegna è stata realizzata sia attraverso la lettura di diverse opere originali che servendosi di due compendi che hanno sveltito il lavoro: le opere di Krauss e Fussell (1996) e di Pettigiani e Sica (2003). Aggiungiamo che è stata fatta una scelta, nella ricognizione, dettata da motivi pratici: sono stati esclusi lavori riferibili al campo della ricerca puramente linguistica in quanto troppo specialistici per gli scopi del lavoro in preparazione[i]. Vanno rilevati alcuni spazi scoperti; in particolare Krauss e Fussell non discutono i modelli pragmatici (tranne un fugace accenno iniziale ai lavori di Watzlawick) e il libro di Pettigiani e Sica, che invece tratta ampiamente della Pragmatica della comunicazione di Watzlawick e della comunicazione nei piccoli e grandi gruppi, trascura tuttavia la Programmazione Neuro Linguistica (PNL); questa si presenta come un tentativo di messa a punto di un modello operativo che andrebbe comunque preso in esame, indipendentemente dal fatto che lo si consideri valido o meno. Alla copertura, almeno parziale, di questi spazi ha lavorato il curatore.
Ciò premesso, la natura del problema che ancora persiste si può sintetizzare in termini estremamente semplici: a dispetto della quantità di energie dedicate alla questione, dell’abbondanza delle pubblicazioni e della varietà degli approcci e dei modelli, ci sono domande “semplici” alle quali non sappiamo ancora rispondere in modo soddisfacente. Per esempio non è poi così chiaro come fanno due persone a capirsi o, al contrario, perché possono non capirsi anche in condizioni apparentemente le più favorevoli; in effetti non sembra ci sia accordo nemmeno su cosa significa che due persone che comunicano “si capiscono”; e via dicendo.
2 * LA NATURA DELLE SOLUZIONI PROPOSTE
A parte le specificità, che sommariamente verranno esaminate immediatamente dopo, una considerazione generale è che teorie e modelli, per quanto diversi, si possono raggruppare in due grandi categorie: quelli descrittivi e quelli operativi. I primi puntano a produrre soprattutto una descrizione formale (strutturata) dei fenomeni che si osservano nel corso di una comunicazione e, a partire da questa, a fornire una spiegazione logica di ciò che accade, ricercandone una formulazione che sia la più ampia possibile (cioè che copra il maggior numero di casi possibile, tra quelli osservati); la concreta utilizzabilità sul campo (il “come si dovrebbe fare”, sulla base della teoria o del modello, per aumentare nella pratica l’efficienza e l’efficacia delle comunicazioni interumane) non appare centrale per questa categoria. I secondi, invece, partono proprio dalla necessità di fornire, a valle delle ricerche, indicazioni operative per ottimizzare la gestione pratica delle interazioni; nel far ciò, è frequente che rimanga in ombra proprio la spiegazione approfondita dei fenomeni osservabili.
In questa sintetica ricognizione delle ipotesi correnti[ii] si eviterà, ovviamente, di produrre dei nuovi compendi come quelli già realizzati da Krauss-Fussell e Pettigiani-Sica, e ci si concentrerà su una sintesi della natura profonda dei diversi approcci utilizzati. Da questo punto di vista sono identificabili tre tipi fondamentali di approccio, il primo dei quali si basa su un aspetto che ha, ovviamente, attratto da sempre gli studiosi della comunicazione umana, e cioè la capacità di Homo sapiens (unica specie in natura) di elaborare e utilizzare un sofisticato linguaggio simbolico. Segnali e richiami si scambiano anche in molte altre specie animali, e hanno un significato fondamentale per la sopravvivenza; ma il linguaggio simbolico è presente solo nella specie umana e consente una forma di comunicazione che non ha eguali e che è certamente uno dei fattori principali (se non il principale) che le ha consentito di liberarsi di alcuni vincoli naturali e di arrivare ad acquisire perfino la capacità di distruggerla, la Natura.
Gli studi linguistici (sui quali, come già accennato, qui non si approfondirà la riflessione) si sono occupati specificamente di questo aspetto e hanno sviluppato, con il tempo, un vastissimo settore di ricerca. Nel campo psico-sociale, e negli ultimi 60 anni circa, un modello in particolare si è concentrato sulla comunicazione come scambio di informazioni (o contenuti, come potremmo anche dire) realizzato grazie a codici convenzionali basati su simboli e a sistemi di codifica / decodifica: è il modello di Shannon e Weaver (1949), denominato di solito encoding / decoding e fondato sul principio che si può parlare di “comunicazione” solo in presenza di informazioni trasmesse attraverso un codice simbolico (M. Wiener[iii] e altri, 1972). Il senso profondo di questa idea di comunicazione è che la trasmissione delle informazioni serve a ridurre l’incertezza a livello del destinatario e che il grado di riduzione dell’incertezza può essere calcolato. Questo modello, il modello “classico” della comunicazione, ha trovato larga applicazione in ambito tecnologico mentre, per quanto riguarda la comunicazione fra persone, non riesce a rendere conto delle osservazioni; infatti è risultato rapidamente evidente, per esempio, come la ricezione del messaggio da parte del destinatario non inneschi un semplice sotto-processo di decodifica bensì un processo di interpretazione del quale la decodifica del contenuto informativo è solo un aspetto e, spesso, non quello principale.
Il secondo tipo di approccio è rappresentato da un vero e proprio filone di studi, che si è diversificato in molte scuole e modelli e che risulta ancora oggi vivacemente attivo; in questo filone si trovano modelli basati su presupposti diversi e che hanno focalizzato, a seconda dei casi, i soggetti comunicanti, oppure il processo di interazione o gli scambi tra gli interlocutori, sia verbali che non verbali, intenzionali o meno. Un elenco completo è praticamente impossibile e ci si limiterà a citare le tipologie principali riportate nelle rassegne prese come riferimento; in particolare Krauss e Fussell identificano, oltre al modello encoding / decoding di Shannon e Weaver, modelli intenzionalisti, modelli basati sulla prospettiva e modelli dialogici. Da Pettigiani e Sica, limitandosi alla parte che riguarda la comunicazione di coppia, si possono aggiungere la psico-sociologia di Lagache e Moles e l’Analisi transazionale; come ulteriore aggiunta, di nostra iniziativa, il modello costruttivista di Campos (l’ecologia dei significati, Campos 2007) e un gruppo riconducibile alla Theory of mind in generale (si vedano, come possibili esempi, Bara e Tirassa 1999, Tirassa e Bosco 2008). All’interno di questi tipi vengono collocati studi di famosi ricercatori come Piaget, Jean-Blaise Grize e H. P. Grice.
A parte le differenze (che possono anche essere notevoli) questi modelli hanno alcune caratteristiche comuni, soprattutto a livello metodologico, che vale la pena di evidenziare:
· La scissione corpo / mente: La comunicazione è considerata un’entità, prodotto della mente, estraibile dal contesto reale in cui si svolge e astraibile dalle caratteristiche biologiche dei soggetti che la realizzano.
· La parcellizzazione: Due soggetti che comunicano sono considerati, di fatto, un sistema chiuso che è scomponibile in componenti elementari le quali possono essere studiate come in un laboratorio di fisica: isolandole.
· La destoricizzazione (il termine va inteso nel senso della storia naturale): Se la specie umana appartiene alla Natura e viene da essa, anche le sue straordinarie capacità comunicative (compreso il linguaggio simbolico) devono avere un’origine naturale; ciò significa che devono essere il risultato di un processo di selezione centrato sull’ambiente di origine, non su quello attuale, che è il risultato di un’evoluzione culturale lunga almeno 200.000 anni[iv]. Ma nessuno di questi modelli (e forse nessuno in assoluto, a quanto risulta dalle ricerche svolte) si pone il problema delle condizioni di origine della comunicazione, che ci si limita a osservare e studiare nelle condizioni attuali.
Questi assunti, a volte espliciti e più spesso impliciti, portano ogni modello in una sorta di vicolo cieco, diverso da caso a caso ma comunque senza uscita. In estrema sintesi:
· La scissione corpo / mente implica il ricorso a un processo sequenziale sensazione / elaborazione / risposta nel quale il passaggio dell’elaborazione, cioè quello centrale, totalmente a carico della mente, rimane sostanzialmente oscuro. Si afferma che c’è, come connessione tra le afferenze che arrivano dal corpo (le sensazioni) e le risposte che dal corpo partono (le risposte motorie), però non si ha un’idea chiara di come funzioni. Di fatto non disponiamo nemmeno di una definizione chiara e condivisa del concetto di “mente”. La conseguenza è l’astrattezza dei modelli e la loro difficile verificabilità sperimentale; senza contare che le scoperte recenti nel campo delle neuroscienze portano argomenti molto solidi contro l’ipotesi sequenziale.
· La parcellizzazione porta a un vero e proprio paradosso: da una parte deriva dal paradigma della scienza moderna e, quindi, sembra un approccio valido; dall’altra costringe a constatare che la comunicazione, isolata dal contesto in cui si genera, si snatura, e che le conclusioni che si possono trarre studiando singoli frammenti di interazione (livello “molecolare”, di singole parole o brevi frasi) non danno conto in modo soddisfacente di ciò che effettivamente accade fra due persone, nemmeno in uno scambio di brevissima durata. Questo problema metodologico è di particolare importanza e verrà ripreso più avanti; intanto vale la pena di evidenziare come, se il metodo della parcellizzazione rimanda a Galileo e a Newton, le difficoltà che incontrano i tentativi di applicarlo alla comunicazione umana fanno piuttosto scattare associazioni con Heisenberg (il principio di indeterminazione) e Gödel (il teorema di incompletezza).
· La questione delle origini è sostanzialmente non affrontata; l’impressione, in molti casi, è che essa sia totalmente scavalcata sulla base dell’assunto implicito che una comunicazione complessa come quella umana deve essere realizzata attraverso “funzioni superiori” ormai sganciate dalle loro origini biologiche. Il problema è che queste “funzioni superiori” non sono approfondite e spiegate nella loro natura e nei loro processi; di nuovo i modelli si fondano su basi oscure.
Il terzo tipo di approccio, infine, è rappresentato dai modelli pragmatici ovvero, in questa sintesi, la Pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick et al. 1971) e la Programmazione Neuro Linguistica, in sigla PNL (Bandler e Grinder 1982, Dilts 2003). L’elemento comune è, appunto, l’attenzione agli aspetto pragmatici della comunicazione umana, ovvero agli EFFETTI che i messaggi scambiati producono sugli interlocutori; poiché gli effetti non dipendono solo dal linguaggio simbolico ma, anzi, sono fortemente influenzati anche dai comportamenti degli interlocutori, forte enfasi è stata posta da entrambi i modelli sulla comunicazione non-verbale, il “linguaggio del corpo”[v]; infine questi modelli si propongono più direttamente di altri come modelli operativi, nel senso ricordato in precedenza, e sono stati (e sono ancora attualmente) ampiamente utilizzati per applicazioni pratiche come, per esempio, la formazione aziendale sulle competenze trasversali[vi]. Ma, pur su queste basi comuni, i due modelli divergono profondamente e, poiché la questione assume particolare rilievo nell’ambito di questa rassegna, vale la pena di dedicarle uno spazio specifico di approfondimento.
3 * LE SOLUZIONI DEI MODELLI PRAGMATICI
I due modelli considerati verranno esaminati a partire da una sintesi di ciascuno ricondotta a due punti essenziali: l’impostazione metodologica e i concetti fondamentali del modello (le sintesi sono del curatore).
La Pragmatica della comunicazione umana
Impostazione metodologica
L’elaborazione del modello parte dall’osservazione diretta di processi di comunicazione interpersonale reali, con particolare attenzione alla fenomenologia dei comportamenti. L’attenzione è focalizzata sul PROCESSO di INTERAZIONE, invece che sui soggetti comunicanti (questi ultimi sono considerati delle black box), e l’enfasi è sui comportamenti da loro espressi e sui loro effetti (da qui la denominazione “pragmatica”). L’obiettivo del lavoro è quello di cercare le regole che governano la comunicazione interumana (metafora dell’osservatore ingenuo, verrà ripresa tra poco).
Concetti fondamentali
I concetti fondamentali del modello pragmatico sono riassunti nell’enunciazione delle regole ricavate dall’osservazione diretta di processi di comunicazione reali (l’osservazione era condotta su coppie in psicoterapia a causa di disturbi nella relazione): i 5 assiomi della pragmatica. Di questi risultano particolarmente rilevanti, per il nostro lavoro, il 1°, il 2° e il 4°.
Il 1° assioma viene sintetizzato nell’espressione “non si può non comunicare”. In estrema sintesi (e in connessione con gli enunciati degli altri assiomi) il significato è che non possiamo considerare “comunicazione” solo gli atti intenzionali e finalizzati alla trasmissione di un contenuto; infatti, in situazione reale, si osserva che, non appena si stabilisce un qualunque contatto fra due persone, ciascuna di esse interpreta l’altra attraverso la rilevazione di una vastissima serie di segnali che possono essere associati o meno al linguaggio parlato e che non sono necessariamente intenzionali. Di fatto questo assioma fa cadere la distinzione fra comunicazione e comportamento: ogni comportamento, compreso il silenzio, È comunicazione in quanto viene interpretato come un segnale e produce un effetto.
Il 2° assioma specifica che ogni comunicazione si sviluppa sempre su due livelli, concettualmente distinti ma espressi simultaneamente e inestricabilmente intrecciati: il livello del contenuto e il livello della relazione. In termini essenziali significa che, benché abitualmente propendiamo per concentrarci sulla parte di informazione di un messaggio (il contenuto, appunto), in realtà ogni messaggio contiene sempre anche una parte che mira a definire il rapporto tra i due interlocutori (livello della relazione, o di comando, secondo l’espressione originale del modello); insomma se qualcuno mi dice qualcosa, quel qualcosa non mi arriva mai ridotto alla pura informazione (sterilizzato, per così dire) ma contiene sempre anche l’indicazione del tipo di rapporto che l’emittente intende proporre (o imporre) al ricevente. Anticipando in parte un concetto che sarà pienamente esplicitato nel 4° assioma possiamo dire che qualsiasi cosa noi diciamo viene detta in un certo modo, e il modo in cui la diciamo può modificare (fino a ribaltarlo nel suo opposto) il significato da attribuire al contenuto; questo effetto si verifica SEMPRE perché non esiste un cosa senza un come, non esiste il non-modo di dire qualcosa, e la comunicazione umana, almeno per chi cerca un modello operativo, non è un semplice processo di scambio di informazioni ma un complesso sistema di instaurazione, di definizione e di gestione di relazioni interpersonali.
Il 4° assioma distingue il modulo analogico e il modulo digitale, ovvero identifica, all’interno di ogni comunicazione interumana, le due modalità con le quali si fa riferimento agli oggetti: quella per somiglianza (modulo analogico) e quella simbolica (modulo digitale). Per esempio, come hanno osservato Bateson e Jackson, non c’è niente di simile a un tavolo nella parola “tavolo”, anche se questa parola (un simbolo) è sufficiente a trasmettere un contenuto; d’altra parte uno stato d’animo non ha bisogno di parole per essere comunicato a un interlocutore in presenza, perché questi lo può leggere attraverso la nostra comunicazione non verbale (il linguaggio del corpo). Risulta abbastanza chiaro, da questi esempi, come questo assioma sia associabile al 2°: usualmente il livello del contenuto si esprime attraverso il modulo digitale, mentre quello della relazione si esprime attraverso il modulo analogico[vii].
La Programmazione Neuro Linguistica
Impostazione metodologica
Il cardine della metodologia PNL si può sintetizzare nella parola “modellazione”. Attraverso l’osservazione diretta di best performer, in ambiti nei quali si utilizza professionalmente la comunicazione (Bandler svolse il suo primo lavoro su un famoso psicanalista), si punta a una descrizione strutturata dei comportamenti, così efficaci, da essi spontaneamente e inconsapevolmente messi in atto. L’assunto è che i risultati non possano essere casuali o legati a fattori metafisici ma che debbano essere legati a comportamenti sistematici osservabili del best performer (è da questi comportamenti che si trae, appunto, il modello); l’obiettivo è quello di rendere trasmissibili le competenze intuitive espresse in quei comportamenti. La focalizzazione è, quindi, sulla figura dell’EMITTENTE.
Concetti fondamentali
Il concetto portante della PNL è quello di struttura: le manifestazioni osservabili dei comportamenti costituiscono una sovrastruttura esterna (“superficiale”) che deriva da strutture più profonde, graduate su più “livelli logici” (il modello ne definisce 5). La sovrastruttura è collegata alla struttura più profonda, attraverso i vari livelli, secondo passaggi che sono indagabili e ripercorribili all’inverso. In sostanza: se sappiamo analizzare adeguatamente le sovrastrutture superficiali, allora saremo anche in grado di ricostruire le strutture profonde che le sostengono e di modulare efficacemente le nostre comunicazioni mantenendole coerenti con esse. L’idea, infatti, è che la comunicazione si possa instaurare efficacemente quando i messaggi siano in sintonia con le strutture profonde, ed è la capacità intuitiva di entrare in sintonia con le strutture profonde degli interlocutori che fa di certi professionisti dei best performer. Questa “sintonizzazione” si realizza attraverso alcune tecniche fondamentali come il rispecchiamento che, non a caso, punta a riprodurre certe caratteristiche non verbali del modo di comunicare dell’interlocutore; una volta allineati questi codici non verbali si stabilisce una sorta di legame per cui diventa possibile modificare il comportamento dell’interlocutore (per esempio convincerlo di qualcosa) modificando il proprio (una volta instaurata la sintonia sarà lui che tenderà a conservarla seguendo piccole variazioni progressive nei comportamenti dell’emittente).
Altro concetto fondamentale è quello di scomposizione: se osserviamo bene i comportamenti del best performer siamo in grado di scomporli in atti elementari e di ricondurli a modelli strutturati (cioè di passare dal “modellamento implicito”, operato intuitivamente dai best performer, al modellamento esplicito, che permette la trasferibilità delle competenze); non a caso la modellazione (Dilts 2003) è la strategia chiave della PNL. Da questo punto di vista è emblematica la storia del rapporto professionale tra i due fondatori della teoria, Bandler e Grinder (Dilts 2003, Bandler e Grinder 1982): Richard Bandler, che aveva studiato matematica e poi si era appassionato allo studio della genialità, aveva effettuato una modellazione intuitiva delle abilità linguistiche di Fritz Perls (fondatore della terapia Gestalt) e di Virginia Satir (creatrice della terapia della famiglia), riuscendo a riprodurre alcuni dei loro risultati. John Grinder, un linguista, rimase impressionato dall’abilità di Bandler di influenzare gli altri con il linguaggio e, insieme, i due realizzarono il passaggio dalla modellazione intuitiva a quella esplicita formalizzando, infine, anche il processo di modellazione; così nacque il metamodello, ovvero la “descrizione esplicita delle intuizioni e dei comportamenti necessari a porre domande simili e raggiungere risultati terapeutici analoghi”[viii] a quelli dei best performer osservati.
Le difficoltà con i modelli pragmatici
A proposito di questi due modelli va innanzitutto aggiunto che sono quelli che hanno registrato il maggior numero di tentativi di applicazione pratica, soprattutto nell’ambito delle organizzazioni: ormai diverse generazioni di manager e quadri si sono formate sui fondamenti della Pragmatica e della PNL per cercare di comunicare meglio con superiori, colleghi e collaboratori. Non solo ma, con il tempo, le vere e proprie competenze comunicative che sono state delineate a partire dai modelli (o che ad essi sono state associate) sono state soggette a un processo di downpositioning, ovvero sono progressivamente “scese” ai livelli gerarchici inferiori dell’organizzazione. Oggi, infatti, non è infrequente l’estensione della formazione professionalizzante sulla comunicazione (o, come anche si dice, sulle “competenze relazionali”) al personale avente funzioni di coordinamento o perfino, in diversi casi, al personale operativo (si pensi ai call center, per esempio, e ai lavori di front line in generale).
Questi sono, dunque, anche due modelli di successo, da un certo punto di vista; cos’è, allora, che non va con essi? Fondamentalmente il fatto che alcune componenti essenziali dei modelli sono prese come “dati”, quindi non spiegate né ulteriormente indagate. Per esempio, per quanto riguarda la Pragmatica, l’aspetto di relazione di un’interazione descrive adeguatamente alcune osservazioni sperimentali, ma quali siano le sue basi biologiche e l’origine evolutiva restano del tutto oscuri; non c’è approfondimento sul concetto di “relazione” e, sostanzialmente, ci si ferma alle sue manifestazioni concrete. Insomma la relazione semplicemente “È”, secondo il modello.
Oltre a questo ci sono altre due difficoltà principali; la prima è legata ai risultati di una ricerca originale realizzata dal curatore e dagli altri autori di “Pragmatic neurons”[ix]: effetti relazionali si registrano anche quando è disponibile solo il canale verbale mentre, secondo il modello, l’aspetto di relazione è veicolato attraverso il canale non-verbale. La seconda difficoltà è legata alla metafora dell’osservatore ingenuo, così sintetizzabile: se un osservatore del tutto inesperto, privo di qualsiasi conoscenza precedente e impossibilitato a comunicare in alcun modo, osservasse due persone che giocano a scacchi, potrebbe ricostruire per induzione le regole del gioco a condizione che l’osservazione sia sufficientemente prolungata; questo tipo di osservazione è quello che Watzlawick e i suoi collaboratori misero in atto e che consentì loro di ricostruire le “regole del gioco” della comunicazione umana. Il punto è che conoscere le regole non è saper giocare; l’abilità nel gioco è una questione di strategie e tattiche, che sono legate ai contesti e che richiedono conoscenze ed esperienze specifiche su di essi. Di fatto il modello avvia l’approfondimento di questa dimensione solo per il contesto nel quale si è originato, che è la psicoterapia e, in particolare, quella di coppia.
Per quanto riguarda la PNL ciò che è assunto come “dato a priori” è l’esistenza di una struttura profonda che si esprime in sovrastrutture, su 5 livelli complessivi e progressivamente meno profondi, fino ad arrivare alla sovrastruttura più esterna, che sarebbe rilevabile consapevolmente da un osservatore esperto e utilizzabile per ottenere sull’interlocutore l’effetto voluto. Anche qui le questioni delle basi biologiche e dell’origine evolutiva sono totalmente bypassate e non siamo in condizioni di decidere se strutture e sovrastrutture, nella precisa successione delineata dal modello, sono entità osservabili o astrazioni. Va aggiunto che il modello è dichiaratamente indifferente al problema: come più volte ripete anche Dilts, ciò che conta è “che funzioni”, non il rigore scientifico con il quale è costruito o la sua esausitività.
Altre due difficoltà scaturiscono dal modello PNL: la prima è l’adesione di fatto al principio della scissione mente / corpo, per cui la mente, attraverso il percorso sequenziale dalla sovrastruttura esterna manifestata dall’interlocutore alla struttura profonda, sarebbe in grado di dominare totalmente il corpo orientando in base alla scelte (razionali e univoche) dell’esperto i comportamenti dell’altro. La seconda è la contraddizione con i già ricordati risultati di una ricerca originale (v. Nota 9), però su un aspetto diverso da quello evidenziato rispetto alla Pragmatica: per la PNL l’effetto mirato può realizzarsi solo a livello individuale e sulla base di un’intenzione legata ad abilità esperte; la ricerca ha dimostrato (e sostanziato con rilevazioni quantitative) che si possono rilevare effetti mirati (cioè orientati, non casuali) su entità collettive e in modo del tutto involontario. Anche per la PNL vale la considerazione che la sua efficacia appare molto legata al contesto di origine, che è quello della modellazione del comportamento professionale di top performer, in particolare in ambito psicanalitico.
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[i] Per l’esattezza va detto che l’opera di Pettigiani e Sica dedica uno spazio di un certo rilievo anche alla ricerca in ambito linguistico.
[ii] Intendiamo riferirci a quelle principali, che si presentino come teorie, modelli o filoni di ricerca, perché la letteratura in materia è veramente sterminata.
[iii] Da non confondersi col probabilmente più noto Norbert Wiener, il padre della cibernetica.
[iv] A 200.000 anni fa viene fatta risalire la comparsa di Homo sapiens nel lungo processo di ominazione, iniziato 6 o 7 milioni di anni fa; l’inizio dell’evoluzione culturale, documentata per esempio dalla produzione e dall’uso sistematico di utensili, può essere fatto risalire almeno alla comparsa del genere Homo, cioè fino a 2,5 milioni di anni fa circa.
[v] L’espressione viene ripresa perché molto usata ma, per la verità, non è esatta: la comunicazione non-verbale non riguarda solo il corpo in senso stretto (i gesti, la postura, la mimica facciale) ma anche l’immagine (l’abbigliamento, per esempio) il contesto fisico (l’ambiente in cui si svolge l’interazione) e altro ancora.
[vi] Per completezza va precisato che, durante la stesura di questo articolo, è stato valutato l’inserimento, tra i modelli pragmatici, dell’Analisi transazionale, anch’essa presa come base per applicazioni a situazioni reali e con un discreto successo. Alla fine si è rinunciato a questa soluzione in quanto l’A.T. appare complessivamente più riconducibile al filone descritto subito sopra che non alla Pragmatica di Watzlawick e alla PNL.
[vii] E’ interessante osservare come gli esseri umani risultino unici nella loro capacità di usare entrambi i moduli, in quanto gli animali usano solo quello analogico; anch’essi interpretano segnali, ma solo in termini di relazione con il contesto e con gli altri viventi con i quali entrano in contatto. Per esempio è stato notato che, quando ci capita di parlare a un animale domestico, non sono le nostre parole che producono gli effetti (perché non possono venire comprese), ma tutta la comunicazione non verbale ad esse associata (si veda Bateson, 1976 e 1984).
[viii] Dilts, 2003, pag. 50.
[ix] Maffei (2006); Maffei, Cavari, e Ranieri (2007); Maffei, Cavari, Gasperini, e Selvaggi (2008).